di Sara Emma Cervo, photo editor e social media manager Yourpictureditor
Mi sono imbattuta in Digital Journalism per caso. Una collega di Francesco Oggiano e mia -all’epoca lavoravamo entrambi per Vanity Fair- aveva invitato i suoi amici di Facebook a iscriversi a questa newsletter del venerdì. Un click, l’inserimento della e-mail, la mia, e via: sono diventata un’affezionata di questo appuntamento del pre-weekend. Ogni settimana nuovi argomenti. Ho scoperto chi è il giornalista più divertente di Tiktok, ovvero Dave Jorgenson del Washington Post; come cambia la vita quando si decide di diventare freelance e in ultimo, ma non meno importante come si scrive di Coronavirus .
Ho avuto la fortuna, inoltre, sempre seguendo Digital Journalism, di seguire lo scorso novembre un corso sui tools con Google News Lab e Barbara D’Amico. Una svolta per chi lavora nel settore: un sacco di “trucchi” per muoversi sul web.
A fine corso ho sentito Francesco sulla chat di Instagram, tra saluti e varie, è qui che gli ho chiesto la possibilità di raccontarmi come nasce la sua newsletter e tutto quello che ruota intono.
Come nasce Digital Journalism?
Nasce per la curiosità di esplorare una piattaforma nuova, nel novembre 2018. Le care e vecchie newsletter stavano riprendendo quota come mezzo di comunicazione e di informazione. Io ero ancora a Vanityfair.it e per mio interesse personale ero sempre a leggere le ultime notizie sulla comunicazione e il giornalismo e/o a smanettare con tools nuovi. Perciò mi sono detto: perché non condividere queste informazioni con altri? E così ho fatto.
Ci sono delle regole da seguire per creare una buona newsletter?
Ti posso dire quelle che mi do io. Secondo me una newsletter deve avere tre requisiti minimi.
Primo, un tono di voce. Ci deve essere qualcuno che parla, lo devi sentire, devi capirne l’intensità e l’intenzione già dal tono in cui ti scrive. Quel tono può piacere o non piacere ai lettori, ma l’importante è che sia riconosciuto.
Secondo, una qualche forma di intimità. La newsletter è stata definita come il nuovo social perfetto, perché a differenza di Facebook e Twitter permette conversazioni profonde e intime, depurate da quel rumore tipico dei social enormi.
Terzo, una identità grafica. Una connotazione estetica unica. Praticamente, il tono di voce per gli occhi.
Spazi dai più svariati argomenti, passi dai social fino a temi attuali. Come scegli l’argomento di settimana in settimana, ti agganci a un trend?
Molte rubriche sono fisse e questo mi facilità il processo di creazione. Ogni settimana so ad esempio che devo mettere 3 Tools, 3 Pezzi belli belli, e così via. L’apertura e il resto delle notizie le scelgo poche ore prima, possibilmente cercando di agganciarmi a un trend e all’attualità. Diciamo che gli argomenti li scelgo dopo aver letto centinaia di newsletter, decine di siti e altri profili social.
Le fotografie, le gif o i meme quanta importanza hanno per costruire un buon prodotto, per tenere il lettore incollato a quella e-mail?
Personalmente adoro le gif. Viste alcune ristrettezze tecniche della newsletter (non puoi metterci video o file pesanti), le vecchie gif sono il mezzo più efficiente e gradevole per fare un minimo di movimento a un mezzo, la mail, che di per sé è statico. Quindi, sì, per me sono importantissime, tanto che ho cercato di renderle un tratto distintivo anche di altre newsletter che curo.
Per diventare virali -passami il termine non gradito in questo periodo- c’è un trucco?
Ahah se c’è, non lo sa nessuno. Quelli che ci sono andati più vicini sono stati quelli di Buzzfeed, che hanno ingegnerizzato il processo di produzione degli articoli, raccogliendo dati su dati sulle reazioni del pubblico e facendo migliaia e migliaia di test. Per farti capire, provavano a fare 30 versioni diverse del titolo di una stessa notizia. In ognuna cambiavano una singola parola, per capire quali parole attirassero di più i clic dei lettori. Ma anche loro hanno vissuto il loro periodo di crisi. La viralità non ha una formula, e di per sé non basta. Ma su questo mi piace pensare alla vecchia maniera. Penso che un buon prodotto, fatto bene, raccontato chiaramente sia di per sé virale.
E il giorno della settimana in cui programmare l’email è importante? Qualche studio in merito…
Sì, dipende molto ovviamente dal tema della newsletter e dal tuo pubblico. Secondo le ricerche (da prendere sempre con le pinze), la maggior parte delle newsletter viene inviata il venerdì: è il giorno più bello della settimana, quello in cui, finito il lavoro più grosso, puoi concederti qualche minuto in più per una lettura che ti accompagna verso il weekend. Il secondo giorno con più invii è il lunedì: e credo sia il giorno più indicato per tutte quelle newsletter di news che vogliono prepararti alla settimana che arriverà. L’orario di invio è quasi sempre la mattina, anche se io prevedo si «allargherà» sempre di più, come del resto è avvenuto per i post sui social delle testate.

Esclusa Digital Journalism, quali sono le migliori newsletter al quale bisognerebbe iscriversi, secondo te?
Ne sparo tre.
The Daily Morning del New York Times, per avere ogni mattina le notizie del mondo. È gratuita ed è la newsletter più seguita al mondo, con 17 milioni di abbonati.
Quartz Daily: la newsletter quotidiana di Quartz, più snella e più dedicata all’economia e al tech. Per me, imprescindibile.
Ann Friedman Weekly: newsletter settimanale della giornalista Ann Friedman, piena di spunti e di consigli di buone letture.
Più un bonus.
Loop: la prima newsletter settimanale di Will 😉 È appena partita e ogni venerdì proviamo a raccontare un tema in un’unica pagina.
Creare una newsletter tutte le settimane porta via del tempo, ci vuole ricerca oltre la passione. Oggi si riesce a monetizzare con questa forma di comunicazione?
I modi finora più battuti sono due: facendo pagare i lettori o ospitando dei branded content al proprio interno. Il primo si sta facendo strada soprattutto negli Usa: nell’ultimo anno decine di giornalisti hanno lasciato le loro testate per crearsi la loro newsletter a pagamento su Substack. Credo che i tempi per questa modalità non siano ancora maturi in Italia. Ma credo che vedremo sempre più newsletter che lavoreranno in collaborazione con i brand.
Personalmente non ho mai provato a farci una lira, direttamente. Ma indirettamente ho avuto più opportunità e offerte di lavoro grazie alla mia newsletter che grazie a qualsiasi curriculum inviato in vita mia. È un curriculum 2.0, una vetrina di se stessi, un mezzo di networking più divertente e utile di qualsiasi altro prodotto.
Diventare giornalista era il sogno che avevi da bambino?
Yep. Ho sempre voluto scrivere. Non importa cosa, non importa dove. Tu mettimi a scrivere e mi fai contento.
Francesco Oggiano, pugliese di nascita e milanese d’adozione, giornalista professionista, dopo la scuola di giornalismo e 9 anni a Vanity Fair, nel 2019 ho deciso di intraprendere la carriera da freelance. Scrivo di attualità, politica e trend digitali tra gli altri per Vanity Fair, Linkiesta, Wired e Donna Moderna.
Seguo dall’inizio il progetto di Will Italia.
Un libro, Beppe Grillo parlante.
Una newsletter mia, Digital Journalism.
Una con Will, Loop.
Una in collaborazione con Ester Viola, The Chat.
Non so perché, ma so parlare al contrario
Cover photo: Kaitlyn Baker/Unsplash

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