di Valeria Ribaldi, contributor Yourpictureditor
Dal 27 settembre al 6 di ottobre si è tenuta la quinta edizione di Diecixdieci Photography Festival nella cittadina di Gonzaga. Trasformata, per l’occasione in un hub per la fotografia, in un centro di incontro per tanti protagonisti del settore: non solo artisti emergenti e affermati, ma anche piccoli editori e curatori indipendenti.
Oltre alla nuova veste grafica, quest’anno il festival ha puntato a volare alto con una tematica degna dei più alti interrogativi: il rapporto tra coscienza e conoscenza e la loro interazione con l’atto di creazione artistica.
Alessandro Malavasi, parte del comitato organizzatore del Festival, e ci ha raccontato l’evoluzione di questa realtà che, per quanto piccola, ha attirato la curiosità di molti e coinvolto un pubblico di persone eterogeneo.
Il Diecixdieci Photography Festival è giunto alla sua quinta edizione. Chi c’è dietro l’organizzazione e quali sono state le novità che hanno caratterizzano questa edizione?
Il Festival prende il nome dal collettivo costituitosi nel 2010 con l’intento di far emergere il talento di giovani fotografi di Gonzaga e dei paesi limitrofi riportando in vita una tradizione fotografica che negli anni ’80 e ’90 aveva portato nell’ex Convento di S. Maria, la nostra sede, autori di rilevanza internazionale del calibro di Stephen Shore, Elliott Erwitt, Guido Guidi, Giovanni Chiaramonte, Nino Migliori e Franco Vaccari.
Per tre anni abbiamo esposto i nostri progetti in una mostra a tema con cadenza annuale, finché abbiamo pensato di organizzare una manifestazione di più ampio respiro e che ci desse la possibilità di crescere grazie al confronto con altri autori ed esperti del settore.
Pur lavorando con budget risicati e confrontandoci con le difficoltà di un piccolo paese di provincia, siamo riusciti già dalle prime edizioni a coinvolgere alcuni tra i nomi più interessanti del panorama nazionale. Siamo cresciuti di anno in anno, fino ad offrire un ricco programma di incontri ed eventi, costituire un circuito espositivo che tocca i principali luoghi di interesse storico artistico di Gonzaga e che quest’anno di estende a Villa Canaro, un palazzo rinascimentale da poco restaurato in seguito al sisma del 2012.
In tutto, le mostre di questa edizione sono state quattordici, divise in cinque differenti location. La grande novità del 2019 è l’apertura all’estero sia istituendo una call for entries internazionale, che ospitando autori provenienti da altri paesi che non hanno mai esposto in Italia. Di conseguenza, abbiamo rinnovato l’immagine con un nuovo sito e un nuovo logo, più consoni a rappresentarci ad un pubblico attento e abituato a frequentare festival con più esperienza del nostro.
La tematica affrontata quest’anno è il trampolino di lancio per un festival che punta molto sulla fotografia emergente. Come hanno interpretato un argomento impegnativo come Coscienza e Conoscenza i giovani autori?
Quest’anno per la prima volta abbiamo adottato un procedimento inverso rispetto al passato: prima abbiamo scelto un tema che potesse essere stimolante e attuale e poi sulla base di quest’ultimo abbiamo selezionare gli autori da invitare. Coscienza e conoscenza sono fortemente intrecciate nell’atto del fotografare e anche in quello della fruizione delle immagini ma, più in generale, costituiscono due fasi distinte, sebbene contestuali, del rapporto con il reale. Sono termini che formano un filo rosso che unisce i progetti in mostra e che via via assume significati diversi e fortemente soggettivi aggiungendosi alla visione autorale, già matura, nonostante la giovane età, di molti degli autori selezionati e alle tematiche al centro dei vari lavori, come identità, memoria, transizione, relazioni umane, ricerca delle proprie radici.
I premi per il miglior portfolio valorizzano gli autori attraverso la produzione dei loro lavori. Quanto è importante oggi dare visibilità all’interno di un contesto come il Diecixdieci Photography Festival?
Dare visibilità ad autori emergenti attraverso una attenta selezione è lo scopo primario del Festival. Per quanto riguarda la call for entries e le letture portfolio, abbiamo invitato curatori, critici, ed editori che hanno esercitato un certo richiamo proprio per il loro profilo professionale. L’istituzione dei premi per il miglior portfolio garantisce, inoltre, una ciclicità che permette di lavorare, durante l’anno, a diretto contatto con gli autori classificati al fine di esporre nella prossima edizione i progetti premiati.
Nel panorama italiano dei festival dedicati alla fotografia, come si inserisce il Diecixdieci? Quali sono i suoi diretti interlocutori?
Una particolarità del Festival è che l’ambientazione e la dimensione generano una atmosfera di intimità tra i partecipanti. Il pubblico ha la possibilità di conoscere da vicino gli autori e spesso tra gli stessi invitati nasce una inattesa complicità. Per questo si rivolge sia ai semplici appassionati sia agli addetti ai lavori, per i quali sta diventando un gradito appuntamento.
Oggi lavori con la fotografia. Era questo quello che avresti voluto fare da grande?
Nessuno dei membri del collettivo lavora da un punto di vista professionale con la fotografia. Siamo tutti volontari mossi da una grande passione e da un’infinita gratitudine nei confronti di chi ci aiuta e di chi ci sostiene, ripagati da un’enorme soddisfazione quando il nostro lavoro viene apprezzato. Questa è la molla che ci fa già pensare a come migliorare la prossima edizione.
Foto di apertura: Piero Percoco, The Rainbow Is Underestimated
Alessandro Malavasi è laureato in DAMS in Cinema, è il presidente dell’associazione culturale l’Officina dell’Immaginazione e tra i fondatori del Collettivo Diecixdieci che organizza dal 2015 l’omonimo Festival di Fotografia Contemporanea.
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