di Teodora Malavenda, curatrice e photo consultant Yourpicturedior
Nel panorama culturale italiano, accanto ai luoghi istituzionali dell’arte emergono sempre più spesso realtà creative indipendenti caratterizzate da percorsi innovativi e attività di autoproduzione.
Si è così creata una nuova scena artistica che, da Palermo a Milano, ridisegna un caleidoscopio di associazioni, centri, collettivi e artist-run spaces dove si respira aria di sperimentazione e dove si guarda allo scenario internazionale con spirito positivo e costruttivo.
Propense al dialogo e al confronto, queste realtà sono capaci di stare al passo con i tempi sfidando anche le problematiche economiche e logistiche che, anzi, interpretano come opportunità di crescita e miglioramento.
Un paio di settimane fa siamo stati a Bologna, per conoscere da vicino una di queste realtà. Abbiamo approfittato dei lavori in corso per l’allestimento della mostra del duo Hamzehian-Mortarotti per fare due chiacchiere con Laura De Marco, fondatrice assieme a Roberto Alfano, di Spazio Labò.
Sei co-fondatrice del centro di fotografia Spazio Labò: come è nata l’idea di creare uno spazio dedicato alla fotografia e quali sono state le maggiori sfide che avete dovuto affrontare?
L’idea è venuta a me e a Roberto Alfano, l’altro fondatore dello spazio, ormai quasi undici anni fa, mentre ci trovavamo a New York. Grandi appassionati di fotografia, eravamo alla ricerca di nuovi stimoli e lì ne abbiamo trovati parecchi. Tanto che, rientrati a Bologna, ci siamo detti che non era possibile che non ci fosse nulla in città di seriamente dedicato alla fotografia. Non sapevamo più come stimolarci e allora abbiamo deciso di provare a crearlo noi, uno spazio per la fotografia.
Era una scommessa e ovviamente portava con sé tante sfide, in primis economiche e logistiche, ma anche di durata: non sapevamo allora se a Bologna ci sarebbe stato un pubblico per quello che volevamo fare. E invece l’abbiamo trovato.
Come è evoluta negli ultimi anni l’attività di Spazio Labò? Quali sono per te le più grandi soddisfazioni che avete avuto?
Spazio Labò è in qualche modo stato una grade soddisfazione sin dai primi mesi di vita. Potevamo chiudere anche a luglio 2010, pochi mesi dopo aver aperto, e saremmo stati contenti: in poco tempo eravamo riusciti a fare entrare Patti Smith nella nostra piccola sede di allora, per presentare il libro su Robert Mapplethorpe. Da quel momento credo che la follia ci abbia un po’ contraddistinto nelle nostre scelte e le soddisfazioni non sono mancate. Oggi siamo molto felici, per esempio, di potere iniziare a produrre le mostre che proponiamo, anche solo in parte, e di poterle fare girare.
Siamo orgogliosi di avere un biennio di studi che anno dopo anno ci sta facendo entrare in contatto con tanti giovani aspiranti fotografi: questa è sicuramente la sfida già grande, restare all’altezza delle loro aspettative e poter proporre di anno in anno una formazione di qualità e sempre attenta al contemporaneo. Non da ultimo, siamo contenti di poter lavorare con un gruppo che si è allargato e affiatato nel corso degli anni, andando ad includere anche alcuni nostri ex studenti che ora collaborano attivamente alla vita dello spazio.
Quali sono gli stimoli e quali i limiti trovi del lavorare nel campo fotografico a Bologna?
Forse gli stimoli partono dallo stesso punto in cui si trovano i limiti: Bologna è una città molto piccola e, per quanto culturalmente molto vivace, c’è poco ragionamento attorno alla fotografia. L’apertura di un’istituzione come il Mast ha sicuramente migliorato la situazione, ma rimane poco dialogo, anche con le realtà più piccole. Questo, se da una parte ci limita parecchio, dall’altra ci stimola a fare sempre meglio, e comunque ci porta naturalmente a collaborare con altre associazioni che si occupano del visivo da altri punti di vista.
Il 27 ottobre avete inaugurato la mostra del duo Anush-Hamzehian e Vittorio Mortarotti (visitabile fino al 18 Gennaio 2019, ndr): ci dici qualcosa di più su questo lavoro?
Anush e Vittorio sono due artisti che ammiro profondamente, perché trovo nel loro lavoro una coerenza e un metodo che non diventano mai noiosa ripetizione di uno schema ben rodato, ma che danno credibilità e spessore a tutto il loro lavoro. Sono tecnicamente giovani ma hanno già alle spalle una intensa produzione, in cui si completano a vicenda nelle loro rispettive pratiche, di filmmaker per Anush e fotografo per Vittorio. Most Were Silent non fa eccezione. Un lavoro poetico, che procede per stimoli visivi a volte appena accennati, che parte da uno spunto piccolo, da una geografia precisa, e arriva a parlare di tematiche grandi e importanti, a volte anche con salti per nulla scontati, ma mai forzati.
La coerenza con cui l’attività espositiva si sposa con la produzione editoriale è un altro aspetto altrettanto importante del progetto, che è un libro ma anche una mostra, forma in cui si può dare voce anche all’apparato filmico che appunto contraddistingue il duo. Most Were Silent parla di guerra, di Storia e di storie, di come la percezione del reale è inevitabilmente in mano ai singoli, e da questo punto di vista estremamente sfaccettata, ma anche di come ci siano scritture da parte di chi detiene il potere che sono inevitabilmente più codificate di altre. È anche un lavoro che parla di fotografia, di come percepiamo il visivo. Insomma, sono stata estremamente felice di poter lavorare con loro e di ospitare questa mostra.
Nello stesso weekend avete aperto le porte di “Spazio Labo’ | Zanolini”, un secondo contenitore dedicato alla produzione artistica. Perché avete sentito la necessità di aprire un secondo spazio? Qualche anticipazione sulla programmazione dei prossimi mesi?
Lo spazio non è mai abbastanza. Soprattutto quando si lavora in un gruppo a cui le idee di certo non mancano. Questo è il nostro problema, vogliamo fare sempre tante cose e a un certo punto ci accorgiamo che non sappiamo dove farle. Così è nato Spazio Labò Zanolini, una nuova sede, molto vicina a quella principale di Strada Maggiore, un luogo che sarà innanzitutto dedicato ai nostri studenti, alle loro esercitazioni e alla produzione dei loro lavori. Ma per cui stiamo già pensando a una programmazione più rivolta al pubblico, che però è ancora presto per poter mettere nero su bianco. Sicuramente non mancheremo di comunicarvi le novità.
Sei fotografa, docente, curatrice e co-fondatrice di Spazio Labo’. In che modo riesci ad armonizzare i vari aspetti della tua attività professionale?
È una domanda che mi faccio anche io, almeno su base quotidiana. La risposta, forse, è che l’armonia è spesso frutto di scelte, per cui a volte si rinuncia anche a qualcosa che proprio non ci sta. Se insegnare, selezionare e curare progetti, e organizzare l’attività dello spazio in generale, sono tutte attività quasi contemporanee nella mia quotidianità, fare fotografie spesso non ci sta, e allora compenso con altre attività della mia vita privata, come scrivere, leggere e suonare. Per come la vivo, occuparsi di fotografia è come occuparsi della vita: qualsiasi cosa faccio o vivo rientra nel mio lavoro. È una cosa che ha naturalmente i suoi pro e i suoi contro, ma per ora mi concentro solo sui pro.
Credito fotografico: dalla serie “Most Were Silent” di Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti
Laura De Marco è co-fondatrice e co-direttrice del centro di fotografia Spazio Labo’ di Bologna. All’interno di Spazio Labo’ è anche responsabile e curatrice delle mostre e delle attività culturali; è docente della scuola biennale, con corsi sui linguaggi della fotografia contemporanea, sulle pratiche curatoriali, sulla progettualità, l’editing e il book making; è responsabile del progetto didattico Photo Workshop New York e del progetto editoriale Edizioni Labò; è infine co-responsabile della comunicazione del centro. Collabora con festival di fotografia internazionali, come lettrice di portfolio e membro di giuria, tra gli altri SI Fest, Foiano Fotografia, Photo Vogue Festival, Riaperture Festival, Bursa Festival in Turchia, Toronto Festival . È membro della direzione artistica di SI FEST 2018. Nel tempo libero lavora a progetti fotografici personali, con un particolare interesse per il concetto di tempo e la relazione tra uomo, natura e ambiente urbano; suona e si occupa dei suoi cani.
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