di Sara Emma Cervo, photo editor e social media manager Yourpictureditor
«Questo è matto», Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, collezionista, presidente dell’omonima fondazione e fra le 100 personalità più influenti dell’arte contemporanea per Art Review, ha definito in una recente intervista su Rolling Stone Italia, così Silvio Salvo. “Matto”, non in assoluto, chiaro. Ma in merito alla gestione dei social media: «non ti nego che all’inizio ero preoccupata» continua «poi ho visto che faceva questa cosa con una serietà incredibile, con passione e intelligenza, e mi sono fidata». Senza sbagliarsi. Silvio ha pensato a un strategia fuori dal comune: ha creato collage in cui personaggi -finti e reali- si incontrano davanti al 16 di via Modane a Torino, ha dato voce al Maestro Yoda, ha creato l’hashtag #occupysandretto e molto altro. Il risultato? Un successo. A parlare sono i numeri: Facebook ha oltre 28.000 “mi piace”, su Twitter si contano 22.000 follower e 17.100 su Instagram.
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è dalla sua nascita all’avanguardia nell’arte contemporanea. Lo è anche nel campo della comunicazione, di cui tu sei responsabile, in particolare nell’ambito social media. Raccontaci come vi siete avvicinati ai canali social e con quale idea.
Nel 2008 abbiamo creato la pagina Facebook della Fondazione e ho cominciato a gestirla perché ero l’unico dello staff iscritto al social. A seguire, abbiamo creato l’account Twitter e nel 2015 quello Instagram. All’inizio non c’era una vera e proprio strategia: postavamo le informazioni sulle nostre attività in maniera molto classica -in realtà non era per niente classica- poi al cinema è uscito il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e da lì è cambiato tutto. Di ispirazione fu la scena in cui Joker, mentre si punta la pistola alla tempia davanti ad Harvey Dent, dice «Sono un agente del caos. E sai qual è il bello del caos? È equo».
In cosa si distingue la vostra, o tua, comunicazione via social?
Ci rivolgiamo a tutti: da chi non si perde una mostra di arte contemporanea a chi non si perde un servizio in televisione di Barbara D’Urso che personalmente considero un’icona contemporanea.
Nei social, “l‘infocaosteinment” è il nostro mantra: informare sulle mostre e gli eventi, creare il caos e intrattenere. Per gli approfondimenti c’è il sito web, ci sono le recensioni, e ovviamente ci sono le mostre.
C’è un collegamento tra online e offline? Avete notato un aumento in termini di numeri e partecipazione grazie ai social?
Sicuramente, ma è solo una piccola percentuale. Senza un lavoro di ufficio stampa e l’invio della newsletter settimanale, i social non possono fare miracoli.
Il tone of voice che utilizzi è molto ironico, le immagini e i collage divertenti, non mancano video musicali per salutare il pubblico e poi c’è il maestro Yoda. Parli dell’arte esposta senza mostrarla direttamente. Come mai la scelta di questo stile per una fondazione di arte contemporanea?
Il tone of voice cambia a seconda del canale di comunicazione: i testi del sito e della newsletter non vengono scritti dal Maestro Jedi Yoda, ovvero il social media manager della FSRR. Mentre per Twitter, Facebook e Instagram abbiamo optato per un linguaggio POP, che poi è quello che spesso rispecchia ciò che troviamo sui social. Ma soprattutto abbiamo fatto nostro l’aforisma di Charlie Chaplin: “Un giorno senza sorriso è un giorno perso”.
Poi ci sono i meme con personaggi famosi che rendono immediatamente riconoscibile la nostra sede. Ma ci tengo a precisare che se le informazioni sulle mostre o sugli orari vengono urlate da Stewie Griffin mentre inveisce contro la madre, o vengono mostrate in una chat su whatsapp o attraverso un banalissimo post senza immagini con scritto “Oggi siamo aperti dalla 12 alle 19. Le nostre mostre sono…” il senso non cambia. Yoda che parla in sardo e ti invita a visitare le mostre serve anche a far sorridere la community e a interagire con gli haters.
Un altro aspetto, infine, altrettanto importante, è collegato al fatto che esponiamo opere che parlano del presente, quindi siamo la memoria di domani. Come puoi pensare di comunicare un centro per l’arte contemporanea se non conosci il linguaggio e il mood di oggi? Sui social la maggior della gente entra per intrattenersi, per farsi “indicare la via” da Selvaggia Lucarelli, per guardare in loop la testata al giornalista a Ostia, per scrivere che al bar nel centro il caffè costa tre euro, per accanirsi contro qualche campagna pubblicitaria. Ovviamente non è sempre così, ma ognuno di noi qualche volta si sarà loggato anche solo ed esclusivamente per “cazzeggiare” o per fare gli screenshot delle foto al mare di chi segue su instagram.
Il cortocircuito che spesso creiamo sui social è nella natura del social. The medium is the mess age. Viviamo nell’era del caos. Comunque i visitatori della FSRR sanno di non doversi preoccupare: il “non sense” che a volte trovano nei nostri social è bilanciato dalla professionalità della Presidente Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, della curatrice Irene Calderoni, del dipartimento educativo, dei nostri mediatori culturali che fanno avvicinare il pubblico all’opera e di tutto il team.
In merito alla pubblicazione sui social delle opere in Fondazione, alcune volte vengono mostrate attraverso l’occhio del Maestro Yoda e soprattutto durante gli opening.
Ci sono altre fondazioni o istituzioni culturali nel mondo a cui guardi come riferimento o esempio virtuoso di comunicazione?
Raramente seguo le altre realtà culturali, ma il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano fa spesso campagne che meritano un gigantesco Chapeau!
L’anno passato hai costretto l’intero staff, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo inclusa, a posare per una gif animata per gli auguri di Natale. Vedremo anche quest’anno un’esibizione particolare?
Lo spero! Vorrei fare danzare lo staff della FSRR davanti all’opera di Hito Steyerl (Factory of the Sun), ma la vedo dura.
Da bambino cosa sognavi di “fare” da grande?
Segnare un goal in un derby sotto la Maratona. Avrei esultato come Roberto Muzzi contro il Mantova nel 2006.
In apertura: Batman dentro il Rinascimento di Adrián Villar Rojas
Silvio Salvo nasce a Torino nel 1978. Nel 2001 entra a far parte dell’ufficio stampa del Premio Grinzane Cavour dove resta fino al 2005. Lavorare al Premio Grinzane Cavour si rivelerà utilissimo e una tortura psicologica. Nel 2002 si laurea in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino. Nel 2005 diventa l’ufficio stampa della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, centro per l’arte contemporanea di Torino. Nel 2008, essendo l’unico dello staff iscritto a Facebook, comincia a gestire i social della Fondazione. Tifa Toro dall’età di 6 anni, perché Matteo, suo compagno di classe e, all’epoca, migliore amico gli dice che tifa Toro.
Tra la visita di una mostra e, per esempio, un concerto dei Radiohead sceglie il complesso musicale.
È invasato di cinema da quando in terza media ha visto Il Silenzio degli Innocenti, ha una lista di “film visti”: sommando 30 film che sicuramente non ricorda di aver visto (nel periodo che va dai 3 agli 8 anni), ad oggi è arrivato a 2006 film visti. Predilige i film che lo magonano: Le vite degli altri, Biutiful, il Profeta, The Wrestler, solo per citarne alcuni. Per 3 anni ha curato la rubrica di cinema di Playboy.
Il suo piatto preferito è il risotto al nero di seppie da quando lo mangiò, a dieci anni, per la prima volta a Firenze insieme alla famiglia. Fino all’età di 17 anni ha giocato nell’Alpignano Calcio prima nel ruolo di libero, poi di stopper. All’età di 15 anni è stato convocato nella Rappresentativa Regionale, perché era davvero molto bravo. Nell’ottobre del 1995 il nuovo allenatore lo mette in panchina (incredibilmente, visto che fino alla domenica prima aveva la fascia di capitano) nel derby contro il Lascaris e abbandona il calcio giocato. Considerando che la parte sul calcio ha occupato SEI righe di biografia, potete immaginare quanto Silvio Salvo sia ancora incazzato per essere stato escluso da quella partita (persa 3 a 2 dall’Alpignano…).
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