Ho conosciuto Luca Panaro durante LAUT! Pensieri a voce alta “Fotografia & Arte Contemporanea”. Luca, in questa occasione, aveva sottolineato l’importanza di una fotografia in dialogo con il contesto in cui è inserita, portando a esempio la mostra di Armin Like al Pac ed elogiando l’artista per essere riuscito a costruire un’esposizione che va oltre la fotografia: “L’apparenza di ciò che non si vede incanta anche solo per l’allestimento”. Luca Panaro ha pubblicato diversi libri, è un critico e un curatore all’avanguardia, guarda al futuro, e guarda anche a Instagram. L’ho appreso durante la conversazione avuta con lui, e con Laura Davì, subito dopo il caffè in galleria. Un discorso interessante che ho deciso di approfondire con questa intervista.
Perché introduci nel tuo corso di critica fotografica a Brera il rapporto con i new media come ambito di sviluppo della fotografia?
Dal punto di vista teorico le riflessioni fatte dai pensatori del Novecento sulla fotografia trovano nel linguaggio dei new media una nuova applicazione. L’immagine come realtà virtuale, l’autonomia della macchina rispetto all’autore, l’accettazione della casualità nel processo generativo dell’opera, sono tutte riflessioni nate in seno alla nascita e allo sviluppo della fotografia che oggi ritroviamo nell’arte e negli artisti che scelgono il web come contenitore di esperienze. L’apparecchio fotografico ha aperto la strada alle diverse “macchine” produttrici d’immagini che si sono affermate successivamente.
Per alcuni fotografi come Sebastião Salgado, e per i collezionisti, la stampa fotografica è molto importante. Quanto è ancora importante l’oggetto stampato?
Salgado è un autore lontanissimo dalla mia ricerca e l’importanza della stampa per i collezionisti è legato più che altro al possesso. Quello che mi preme semmai è l’importanza che la stampa può ancora avere per un artista. Come forma di feticismo necessaria per assecondare un mercato ancora ottocentesco, oppure come parte integrante della creazione dell’opera. Paradossalmente negli ultimi anni si sta verificando un grande ritorno alla materialità anche nelle generazioni più giovani. Trovo che l’aspetto più rilevante del nostro tempo sia però la libertà dell’artista di far vivere la stessa fotografia in modi differenti, tramite un manufatto analogico e al tempo stesso mediante la condivisione digitale.
Dai nuovi lavori che vedi nel tuo quotidiano, che idea ti sei fatto della direzione che sta prendendo la fotografia?
I nostri anni si caratterizzano più di altri per la presenza di una pluralità di voci. Chi spinge verso le potenzialità offerte dalle moderne tecnologie, ibridando la fotografia col video, la computer grafica, il web. Chi al contrario subisce la fascinazione delle antiche tecniche e riscopre la lentezza e il piacere di certe pratiche. In entrambi i casi credo che si guardi ancora troppo con gli occhiali della storia: al di là della tecnica utilizzata latita uno sguardo puntuale sul presente.
Instagram è il social della fotografia, è secondo te davvero un mezzo utile per scoprire e promuovere nuovi talenti?
Ogni mezzo può essere utilizzato ai fini promozionali, quindi anche Instagram. La domanda che dovremmo porci è un’altra: quanto i social stanno mutando l’estetica contemporanea? Da questo punto di vista credo che Instagram possa essere un osservatorio interessante. Come ho scritto recentemente, oggi ci sono le “Avvisaglie di un cambiamento iconografico” (Generazione critica. Arte, fotografia e tecnica, Danilo Montanari Editore, 2016). Le immagini che vediamo sui social spesso hanno caratteristiche nuove dal punto di vista compositivo e cromatico, sono a-prospettiche e ravvicinate, piatte come gli schermi dei dispositivi che si utilizzano per realizzarle.
Da bambino cosa avresti voluto fare “da grande” ? il tuo attuale mestiere si avvicina a quel sogno?
Ho sempre desiderato toccare con mano la contemporaneità. Nel 1994 al liceo potevo studiare al massimo il Futurismo, 85 anni dopo la pubblicazione del celebre manifesto di Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1999 all’Università potevo spingermi fino all’arte concettuale, ormai qualche decennio dopo la sua affermazione. Oggi, 13 dicembre 2016, lavoro con artisti che stanno preparando mostre per il 2018.
Ringrazio Luca per aver risposto alle mie domande, oramai non più semplici curiosità. Da qualche tempo a questa parte sto approfondendo il rapporto fra fotografia e new media, fra corsi, letture e interviste, tanto che ogni mese convocherò un esperto per parlarne sul blog di YP.
Sara Emma Cervo, Photo Editor e Social Editor YP
Foto di apertura: Eva e Franco Mattes, “My-Generation” 2010, Mata Museum, Modena. Ph. Elenia Megna
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.